Oro da investimento – La regola del 7%, nel seguente articolo puoi capire tramite cenni storici perchè l’oro è un metallo da “investimento”
L’oro da investimento è storicamente la forma monetaria più stabile e più utilizzata. Nell’attuale moderna società finanziaria, quale può essere l’importanza di investire una parte dei propri risparmi in oro da investimento? In che modo questa percentuale di investimento può aiutare il risparmiatore italiano ad affrontare le sfide monetarie del presente e del prossimo futuro?
Di seguito riportiamo per interno un articolo apparso sul quotidiano IL CORRIERE DELLA SERA, secondo il quale dovremmo riformulare il concetto di “investimento” in “una forma di assicurazione” motivata dall’essere, l’oro, l’unico bene investibile in grado di apprezzarsi quando tutto il resto dovesse andare male. Una grande, grandissima qualità nella situazione storica attuale.
Di seguito il testo dell’intero articolo (questo il link alla pagina dell’autore ed editore):
Da inizio anno il prezzo dell’oro è cresciuto del 10%, raggiungendo i massimi dal 2012. L’oro fisico, complice la pandemia che ne ha limitato l’estrazione, è praticamente introvabile. Gli strumenti finanziari che ne tracciano il prezzo come gli exchange trading funds sono in vetta alle classifiche dei fondi da inizio anno. Alcuni tra i migliori gestori al mondo consigliano di acquistare oro e metalli preziosi, forse spinti dal vecchio adagio «compralo e spera che non funzioni».
L’oro è tornato a brillare nel firmamento degli investimenti. Com’è possibile che gli stessi uomini che studiano come dotare di intelligenza emotiva i robot si rifugino contemporaneamente in un metallo così primitivo, estratto con immane fatica a chilometri di profondità in una quantità che dal giorno della sua scoperta a oggi non riempirebbe il cargo di una singola nave? Provare a capirlo ci può essere di aiuto, poche cose come l’oro ci insegnano le fondamentali regole dell’investire. Partiamo da qualche indispensabile cenno storico.
Dalle maschere micenee, calchi d’oro a cui affidare la propria immortalità, ai miiti di Mida e Creso,
dai simboli religiosi come il vitello d’oro a Pizarro e al suo sterminio degli Incas per estrarre il metallo giallo necessario al dominio dell’impero spagnolo, dagli sbarchi sui moli di San Franc
isco nella metà dell‘Ottocento a Lenin che voleva costruire con quel metallo le latrine pubbliche come simbolo di distruzione del capitalismo, la storia aurifera è un racconto di bellezza e morte, di passioni e ossessioni, di vincitori e vinti.
Da un punto di vista finanziario, in uno sforzo di coraggiosa sintesi di 4500 anni di storia, possiamo dire che l’oro ha attraversato tre grandi epoche.
Fino al seicento..
Nella prima, durata fino al Seicento, fu un facile mezzo di pagamento, coniato in monete leggere e indistruttibili. In questa fase fu il motore del commercio tra popoli che spesso non avevano altro in comune. Se all’epoca fossero esistiti i no global, l’oro sarebbe stata l’icona da demolire.
Dal seicento in poi..
Nella seconda fase, dal Seicento al 1971, svolse una funzione di garanzia e di supporto alle valute, che proliferarono come mezzi di pagamento ma rimasero legate alla quantità di lingotti posseduta dagli Stati attraverso il principio della convertibilità – un requisito necessario di chi si fidava solo del metallo prezioso. La scoperta del denaro cartaceo trasformò così una risorsa scarsa e regolata dalla natura (oro) in una risorsa potenzialmente infinita (carta moneta) governata dagli uomini. I quali, soprattutto a causa delle guerre, di disciplina ne dimostrarono spesso poca. Nacquero così i cicli e le crisi finanziarie che portarono, causa indebitamento e inflazione, alla scomparsa di gran parte delle valute in circolazione – delle 700 esistenti nel XVIII secolo ne rimasero meno del 20%. Anche le poche che sopravvissero come la sterlina e il dollaro subirono però forti svalutazioni.
Le due Guerre Mondiali e più tardi quella del Vietnam, con l’esplosione degli indebitamenti, conclusero la terza fase, decretando la fine della convertibilità dell’oro e il passaggio al dollaro come riserva valutaria.
Fu Nixon nel 1971, con la disdetta dell’accordo di Bretton Woods, a firmare quella che avrebbe dovuto essere l’eutanasia del metallo giallo e il suo confinamento a materia prima di gioielli. Appena nove anni dopo Time titolava in copertina “Ingot we trust” (Abbiamo fede non «in God», in Dio, ma nel lingotto d’oro). Il paziente si era risvegliato e mostrava tutta la sua forza, a ricordare che migliaia di anni di convivenza non si potevano cancellare con un tratto di penna. Il rialzo degli anni Settanta, favorito dall’inflazione, fu seguito da un lungo ciclo negativo che portò il prezzo dell’oro dagli oltre 800 dollari l’oncia fino al minimo di 252 nel 2001. Ma grazie alle politiche di creazione di nuova moneta di Greenspan durante la crisi di Borsa del 2000-2002 e di Bernanke nel 2008-2009 l’oro tornò nuovamente ad attrarre larghe truppe di seguaci, spaventate dall’uso disinvolto del torchio tipografico.
Negli ultimi 20 anni il suo prezzo è salito fino agli attuali 1.700 dollari per oncia, un rialzo superiore a qualunque altro tipo di investimento.
Quali conclusioni possiamo trarre come investitori?
Innanzitutto, che oltre quattro millenni di storia ci dicono che l’oro è qualcosa che ci appartiene (e noi apparteniamo a lui) e non scomparirà. È vero, come dice Warren Buffett e ancora prima il suo mentore Benjamin Graham, che il prezzo dell’oro può salire solo perché qualcun altro lo compra, non generando utili né dividendi. Ma abbiamo sufficienti prove storiche che questo succederà ogniqualvolta, come in questo momento, percepiremo una perdita di valore dei soldi che abbiamo in tasca. Prima i tassi negativi, adesso il denaro regalato attraverso una politica denominata “helicopter money”. Intuiamo che alla fine saremo noi a pagare il conto di questi ossimori, ma non sappiamo come proteggerci.
Nel momento in cui i mercati vengono di fatto nazionalizzati perché è lo Stato a sostituirsi ai compratori di obbligazioni e, in qualche caso, perfino di azioni, che ne è dell’indispensabile diversificazione? Quali investimenti possono dirsi sicuri? Perché è evidente che quando mai Pantalone decidesse di ritirarsi, tutto scenderebbe in modo indiscriminato. Più delle onde a fare paura sono gli spericolati timonieri e le loro voglie inflazionistiche.
Ecco allora la vera motivazione a diversificare in oro una percentuale ragionevole, per usare un numero magico diciamo il 7%, dei propri risparmi. Una forma di assicurazione, più che un investimento, motivata dall’essere l’unico bene investibile in grado di apprezzarsi quando tutto il resto dovesse andare male. Una grande, grandissima qualità nella situazione storica attuale.
Nel 1928, George Bernard Shaw, non certo un conservatore, scriveva: «Dovete scegliere se avere fiducia nella naturale stabilità dell’oro o piuttosto nell’onestà e nell’intelligenza dei membri del governo. E, con il dovuto rispetto per questi gentiluomini, io suggerisco, finché il capitalismo vivrà, di votare per l’oro». Anche un secolo dopo è difficile dargli torto.
*Fondatore Samhita Investments”
A questo link puoi trovare la nostra sezione dedicata all’oro da investimento: https://www.ilpiaceredelloro.it/attivita/investimenti/